Ti sei mai chiesto se sei in grado di effettuare delle oculate scelte per stabilire il giusto prezzo di vendita, orientando l’impresa verso una gestione strategica del portafoglio prodotti e verso l’ottimizzazione della redditività globale, partendo dai singoli articoli?
Molte imprese devono affrontare il problema del prezzo e dello sconto fattibile e diverse volte non riescono a determinare “fino a che punto” è per loro possibile avere margini di manovra. Inoltre spesso i prezzi vengono stabiliti “a sé stanti”, senza considerare il contributo alla redditività aziendale dei diversi prodotti.
Non è infrequente assistere anche a casi in cui un prodotto venduto sottocosto secondo il full costing viene ritenuto dannoso e da abbandonare, ignari del fatto che a volte (soprattutto in periodi di recessione) sono proprio i prodotti “in perdita” a permettere all’impresa di poter avere utili.
Ti sei mai posto queste domande:
Noi siamo in grado di dare una risposta a questi punti.
In concreto possiamo dirti fino a che punto si possono abbassare i prezzi lavorando su una politica di revisione dei costi e fino a che punto è possibile abbassare i prezzi aumentando i volumi (economie di scala). Una gestione dei prezzi imperniata su un ricarico generico, nella maggior parte delle imprese non è assolutamente premiante e porta l’impresa ad una disottimizzazione dei risultati. Ogni specifico prodotto o linea di prodotto deve avere politiche di prezzo differenti e non solo: i prezzi già stabiliti possono subire variazioni in base alle specifiche necessità.
Sia ben chiaro: nessun prezzo di un prodotto, per quanto remunerativo possa essere, può garantire redditività ad una impresa. Un esempio banale renderà subito l’idea.
Ipotizziamo una azienda monoprodotto che venda il suo manufatto con un ricarico, rispetto ai costi complessivi, del 100%. La singola redditività “numerica” è sicuramente positiva… ma se poi in un anno l’azienda vende pochissimi pezzi? Nonostante l’elevata marginalità unitaria è molto più probabile che il bilancio chiuda l’esercizio in perdita, anzichè con un utile. Questo esempio vuole porre l’attenzione sul fatto che ci deve comunque essere sempre una correlazione tra prezzi praticati e volumi di vendita. Aziende che hanno margini unitari alti avranno certamente bisogno di vendere unità annue inferiori rispetto ad imprese che praticano prezzi molto bassi, ma in ogni caso per ciascuna delle due tipologie di imprese vi saranno dei volumi minimi di vendita per poter pareggiare i propri costi gestionali e chiudere il bilancio con un utile.
In sintesi, dando per assodata la complessità dell’argomento, possiamo concludere dicendo che il nostro obiettivo è, in due parole, quello di “aiutare” l’imprenditore a fare strategia ed a valutare la redditività dei propri prodotti che offre al mercato o al proprio committente. Diverse, difatti, sono le implicazioni nel caso l’azienda si rivolga ad un mercato di tipo B2C oppure ad un mercato di tipo B2B.
Il modo più comune per determinare il giusto prezzo di vendita di un prodotto consiste innanzitutto nel calcolare i suoi costi complessivi.
Applicando poi a questa somma un certo margine (o ricarico) è possibile pervenire alla definizione del prezzo di vendita. Un esempio sarà utile per chiarire subito il concetto: un prodotto che ha costi per materie prime di € 15, costi fissi che incidono il 35%, e vuole ottenere un margine sul prezzo del 12% calcola il prezzo (X) adottando una semplice equazione di primo grado, ossia: X=15+0,35X+0,12X. Il prezzo risulta essere pari a 28,3.
Ma è così banale calcolare il giusto prezzo di vendita?
Guardando l’equazione indicata ecco che nasce il primo dilemma: il costo complessivo è stato determinato come 15+0,35X. Alcune imprese adottano differenti metodologie, ad esempio sommando il costo della materia prima alla manodopera e all’incidenza dei costi fissi, altre aziende utilizzano ancora altri criteri, ma l’essenza non cambia e la domanda resta: è logicamente corretto determinare il costo complessivo (Full Costing) di un determinato articolo?
In effetti occorre tenere presente che esistono due macrotipi di costo:
Questo ultimo raggruppamento costituisce il vero nodo cruciale della situazione, difatti ci si chiede come sia possibile associare questi costi (o parte di essi) al singolo articolo. Occorre determinare se i costi complessivi di un certo articolo siano coerenti con il prezzo offerto dal mercato. Ma anche qui occorre “assegnare” dei costi fissi all’articolo.
In effetti il problema principale nasce dal fatto che, per determinare il costo generale di un certo manufatto, si ha la necessità di sommare costi variabili di prodotto con una incidenza stimata di costi di periodo (costi fissi di struttura).
E’ palese che le due tipologie di costo abbiano dinamiche e calcolabilità completamente differenti tra loro. E’ inoltre vero che, determinando un costo con la massima cautela possibile, ossia addebitando al prodotto più costi fissi, rischieremmo di pervenire ad un valore troppo grande e di conseguenza potremmo trovarci di fronte ad un prezzo di vendita verosimilmente non in linea con il mercato. A consuntivo, si parlerà a posteriori di sottoassorbimento o sovraassorbimento dei costi fissi.
A questo punto è necessario effettuare un riepilogo ed aggiungere ulteriori dettagli:
In pratica, dal momento in cui si mette in piedi una attività d’impresa, bisogna considerare la presenza di una mole di costi fissi, sia specifici che generici, anche se la fabbrica è ferma. Fatta ora anche questa necessaria specifica, si può finalmente arrivare alla conclusione che è necessario calcolare tre “livelli” di costo per ogni prodotto:
Il concetto fondamentale per stabilire il giusto prezzo di vendita è che LA REDDITIVITA’ DI UN ARTICOLO E’ DATA DALLA CAPACITA’ DI RECUPERARE QUANTI PIU’ COSTI FISSI POSSIBILE e quindi non dal suo UTILE NETTO, il cui calcolo è puramente teorico e non porta a nessuna considerazione oggettiva.
Matematicamente, quindi, identificati con:
avremo che MdCL = PV – CV.
Se un prodotto venduto a 200 ha costi variabili per 120, esso, per ogni unità di vendita, permette un “recupero” di costi fissi pari a 80, ossia ha un margine di contribuzione lordo del 40%. Quindi se l’articolo in questione fattura 87.000€ annui, esso da solo permette un recupero di costi fissi pari a 87.000 * 0,4 cioè 34.800 €.
Occorre quindi sfatare, una volte per tutte, l’idea che un prodotto genera utili netti (che, occorre ribadirlo, sono solo calcolati in via del tutto teorica) ma solo utili lordi, chiamati appositamente MARGINI DI CONTRIBUZIONE LORDO (MdCL). Da qui si deduce anche, come dimostrato, che un prodotto venduto “in perdita” secondo il full costing può tranquillamente generare utili, poichè permette comunque di recuperare costi fissi. In sintesi un prodotto in perdita è solo quello venduto con prezzo inferiore ai propri costi variabili. Va da sè che se tutti i prodotti dovessero essere venduti con margini leggermente superiori ai soli propri costi variabili, si rischierebbe alla fine di non riuscire a recuperare tutta la mole di costi fissi dell’azienda. Ecco che quindi si rende necessario adottare delle politiche di prezzo, in base alle specificità dei prodotti (ossia dal loro livello di competitività), al loro mix delle vendite, ed ai committenti con i quali si ha a che fare.
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